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Febbraio 17th, 2007 — Reggae contro il sessismo e l'omofobia
Intervista a Tanya Stephens
(a cura di Attica Blues, Radio Onda Rossa 87.9 FM)
Venezia, 17 febbraio 2007 – Parlaci del tuo nuovo album: Rebelution (VP 2006). Mi piace molto il testo del brano Do you still care, anche perché è la prima volta che un’artista giamaicana parla così esplicitamente dell’omofobia, paragonandola ad ogni altra forma di razzismo… Puoi spiegare al pubblico italiano perché hai scritto questa canzone?
«Sentivo il bisogno di scrivere una canzone sull’argomento, perché sono giamaicana, e… sfortunatamente, qualunque artista giamaicano si ritrova cucito addosso lo stigma che è stato creato dagli artisti giamaicani stessi. E visto che questi artisti, per affermare se stessi, finiscono per creare un’immagine negativa di ognuno di noi, ho sentito il bisogno di spiegare che loro non rappresentano tutta la Giamaica. Non sono d’accordo con nessun punto di vista che possa essere in qualche modo offensivo o dispregiativo nei confronti di qualsiasi gruppo di persone, e non ho bisogno di avere qualcosa in comune con un singolo gruppo, per poter imparare a rispettare coloro che ne fanno parte e tutte le loro differenze. Questo è il principio in base al quale io vivo la mia vita e suggerisco ad ognun@ di vivere la propria. Perciò dovevo scrivere questa canzone, anche perché fa parte della mia vita e del mio lavoro: quello che dico fa parte del mio impegno per cambiare il sistema in cui viviamo. Ed è un lavoro duro quello di mostrare la strada con le nostre parole, ma ci sono tante cose che possiamo cambiare. Ci vogliono troppe energie per far cambiare a qualcun@ le proprie scelte personali [le preferenze sessuali], ed è solo una perdita di tempo. Sono altre le cose per cui vale la pena di lottare, e io dovevo raccontare questa cosa, perché avevo davvero qualcosa da dire».
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Giugno 17th, 2006 — Reggae contro il sessismo e l'omofobia
Intervista ad Isaac Julien: il lato oscuro della musica black
(a cura di Radio Onda Rossa 87.9 FM)
Roma, 17 giugno 2006 – Nel 1994 il regista Isaac Julien ha realizzato in Giamaica un documentario intitolato The darker side of black, in cui analizza il lato più oscuro della musica nera: machismo e sessismo, omofobia e gun culture nel rap e nel reggae. Perché hai deciso di girare questo documentario?
«Volevo fare un documentario sulla musica reggae e rap. L’ho intitolato The darker side of black perché mi interessava particolarmente scoprire cosa c’era dietro il sensazionalismo provocato dall’incitamento all’omicidio nella canzone Boom Bye Bye di Buju Banton. E volevo conoscere quei gruppi che all’epoca – parliamo della metà degli anni ’90 – stavano cercando di sollevare un dibattito sulla vicenda. La controversia sulla canzone di Buju Banton si concentrava fondamentalmente sull’aspetto più problematico: l’incitazione a sparare agli omosessuali rappresentava una svolta radicale nella musica reggae, che fino ad allora – per usare le parole di Bob Marley – era stata una musica di riscatto e di liberazione, caratterizzata dalla positività e dall’attenzione ai problemi sociali. Il cambiamento introdotto da Buju Banton nella musica reggae rifletteva un cambiamento nella società giamaicana, nella direzione di una cultura omofobica. Il documentario mostra che sono molteplici le motivazioni per spiegare questo fenomeno: ha a che fare con la storia coloniale della Giamaica, ha a che fare con il fondamentalismo religioso che sta crescendo in Giamaica, è connesso anche al problema della violenza e dell’intolleranza sperimentata da molta gente in Giamaica, specialmente di classe operaia. Inoltre c’era la questione della violazione dei diritti umani di gay e lesbiche. E io credo che il problema centrale per quanto riguarda l’omosessualità sia la posizione dell’essere illegali: in Giamaica se sei omosessuale sei un fuorilegge. Se si tiene conto di questo si capisce che certe istigazioni alla violenza nella musica non sono così “strane” nel contesto della società giamaicana, in cui l’omosessualità è illegale perché è contraria ai precetti biblici. Per questo penso che fare una campagna contro Buju Banton non sia sufficiente per andare al cuore del problema: e cioè che l’omosessualità è vietata dalla legge e che c’è in atto una violazione dei diritti umani: la musica è solo la punta dell’iceberg…»
Su questo siamo assolutamente d’accordo. Ma non credi che ci sia una contraddizione nel fatto che la filosofia rasta, che storicamente per il popolo giamaicano ha rappresentato una strategia di resistenza contro la schiavitù e la dominazione coloniale dei bianchi contro i neri, diventi oggi – tramite l’omofobia – uno strumento di oppressione dei neri contro i neri? Voglio dire che la nostra campagna non è finalizzata solo a contestare Buju Banton, ma ad analizzare l’omofobia nella musica, come un problema sociale e culturale complesso.
«Sì, c’è stato un periodo coloniale in cui la musica reggae ha agito come uno strumento di riscatto, ma credo che i tempi siano cambiati: ora viviamo in un’economia del mercato globale e la violenza è una parte della mercificazione della musica pop e del linguaggio popolare, perciò c’è stata una sorta di tensione alla violenza da parte dell’economia di mercato sulla musica black: l’omofobia non c’è solo nel reggae ma anche nell’hip hop. Dunque fare una campagna sulla musica, sul piano delle liriche, è sicuramente una questione che bisogna sollevare. Ma la questione dell’intolleranza che emerge dalla musica porta con sé una serie di problemi etici, ad esempio la questione dell’interdizione delle voci della gente di colore… Quindi quello che bisogna fare è aprire un dibattito, e il dibattito deve tenere conto delle idee e dei diversi modi di pensare da cui scaturisce la musica. Succede sempre lo stesso: se Buju Banton verrà ad esibirsi in Italia, non canterà i brani omofobici. Ma in Giamaica lo farà, perché sa di trovare un consenso. Ovviamente solo una risposta a livello globale può limitare il suo successo sul mercato. E questo credo che sia un fatto positivo: che nel mercato globale ci sia qualcosa che non possa essere tollerato. Un’altra cosa è il problema della violenza: in Giamaica infatti le persone che fanno campagne contro l’omofobia vengono uccise tutti i giorni. Il leader del movimento gay giamaicano è stato ucciso e non c’è mai stato un vero processo. Quindi è importante sollevare l’attenzione su questo aspetto del problema. Buju Banton ha ottenuto un successo internazionale con quella canzone, e in questo c’è qualcosa di sbagliato, ed è giusto che vengano fatte delle campagne contro di lui, e in qualche modo lui sta già pagando delle conseguenze per questo… Ma la cosa più importante per la gente in Giamaica è che l’omosessualità diventi legale: porre fine alla criminalizzazione dell’omosessualità, questo credo che sia il problema fondamentale».
Certo, infatti la nostra campagna non si basa solo sul boicottaggio ma anche sulla necessità di aprire un dibattito e di dare visibilità e supporto a chi si batte per cambiare la situazione in Giamaica… oltre alla scelta di proporre un reggae diverso…
«Sì è proprio così, bisogna agire su entrambi i piani, penso che state facendo la cosa giusta. Il problema con Buju Banton è che si tratta di uno degli artisti reggae più acclamati a livello mondiale, e dunque ha anche una certa responsabilità: non è solo una persona intollerante come un’altra… E quindi è giusto costringerlo a porsi il problema, ed è giusto pensare ad una piattaforma su come risolvere questo dilemma, come è successo quando è andato ad esibirsi a San Francisco e si è dovuto rendere conto che San Francisco non è la Giamaica, ed è tornato a casa…»
Ok, ma sappiamo che per il tuo documentario tu hai intervistato direttamente Buju Banton, Shabba Ranks e altri artisti: puoi dirci che tipo di risposte ti hanno dato, che tipo di giustificazioni davano alla violenza delle loro liriche?
«In realtà bisogna tenere conto che le persone che sono fondamentaliste non possono dare delle motivazioni, né riescono a mettere in discussione le loro posizioni. Qui si tratta di una religione, e le persone religiose non accettano il dibattito: è qualcosa di molto simile al cattolicesimo in Italia, che è profondamente radicato nella cultura. Lo stesso vale per le risposte che la Chiesa dà quando si parla dell’AIDS o della contraccezione: è qualcosa come un non-dibattito… Quindi se tu li metti davanti alla telecamera, ti accorgerai che l’unica cosa che sono in grado di fare è difendere la loro posizione. Naturalmente noi avevamo delle contro-argomentazioni. Ma soprattutto, era interessante vedere come cambiavano atteggiamento a seconda dei contesti e delle situazioni: ad esempio nel documentario si vede Shabba Ranks che si esibisce ad un festival black a Los Angeles, e quando afferma di vivere seguendo le leggi della Bibbia, la gente comincia a rumoreggiare, cosa che lo disturba molto. E invece in un contesto in cui c’erano gay e lesbiche, ovviamente molte persone lo hanno attaccato. Quindi in The darker side of black si può osservare un atteggiamento binario: c’erano delle reazioni opposte nel caso di un pubblico di bianchi o di neri, e questo dovrebbe farci riflettere… Il problema della violenza omofobica è un problema complesso in cui interagiscono la questione della razza, della schiavitù, del colonialismo: è piuttosto complicato perché ha a che fare con la storia politica dell’animismo e della religione all’interno della cultura giamaicana. È molto complicato e non credo che si possano trovare delle soluzioni univoche che vadano bene in qualsiasi parte del mondo. In Giamaica spesso la gente pensa che gay e lesbiche semplicemente non esistano… quindi in quel contesto quello che serve è una legge che riconosca l’omosessualità, così che la gente sappia che se commette certi atti di violenza poi dovrà pagarne le conseguenze. La legge è la prima cosa. Poi certo sarebbe interessante andare a vedere come verrebbe applicata, perché nel contesto di una cultura e di una religione fondamentaliste, tutto questo diventa più difficile. Ma il primo strumento per difendersi è sicuramente una legge che riconosca l’uguaglianza dei diritti per gli omosessuali. Questo è quello che abbiamo imparato girando il film: che quella per una legge è la battaglia fondamentale da portare avanti in Giamaica».
Visto che il documentario è stato girato nel 1994, credi che la musica reggae e la situazione in Giamaica siano cambiate in questi anni?
«Personalmente non credo che ci siano stati dei cambiamenti nel frattempo. L’unica cosa che oggi è diventata ovvia è che c’è una maggiore visibilità del movimento gay e lesbico in Giamaica. E la conseguenza di questa visibilità è che i leader del movimento sono stati ammazzati. E poi ci sono alcuni locali per gay e lesbiche a Kingston, anche se sono molto underground. Probabilmente qualcosa è cambiato rispetto agli anni ‘40 e ‘50, quando la gente era molto più intollerante. Io credo che la connessione coi gruppi di gay e lesbiche a livello internazionale sia una risorsa molto importante e potente per la lotta del movimento omosessuale in Giamaica. E inoltre la connessione con la questione dei diritti umani e con le Nazioni Unite sarebbe importante perché serve una campagna che sia orchestrata ad ogni livello. E qui torniamo alla questione delle campagne sulla musica, che sono davvero molto importanti, ma bisogna anche tenere presente che la musica è solo la punta dell’iceberg e che si tratta di un problema culturale. Tra l’altro ci sono anche delle canzoni incredibilmente popolari nella musica country-western, famose quanto quella di Buju Banton e che sono altrettanto violente; oppure c’è la salsa che è incredibilmente di destra, incredibilmente misogina e omofobica. E allora è importante parlarne e sollevare la questione, perché secondo me, anche se gay e lesbiche cominciano ad uscire allo scoperto, c’è sempre più violenza: sembra che ci sia un progressivo aumento della violenza mano a mano che gay e lesbiche fanno il loro coming out».
Gennaio 28th, 2006 — Reggae contro il sessismo e l'omofobia
Tanya Stephens, Do You Still Care
(Rebelution, VP 2006)
Dove cresceva Bubba,
masticava il suo tabacco
E quando appendevano delle corde,
loro ne tiravano su sempre due
C’erano croci che bruciavano per tutta la notte,
e le chiese saltavano in aria
E se non eri come loro,
eri fottuto
Il tempo passò e Bubba aveva compiuto quaranta anni
E tutti quei Jack Daniels cominciarono a riscuotere il loro tributo
Sembrava proprio che Bubba
stesse per ritirarsi dalle scene
Nessuno dei suoi amici del Clan
poteva aiutarlo adesso
La famiglia si raccolse al capezzale del suo letto
pronta a cantare il blues
Quando il dottore entrò dicendo:
“Ci sono delle novità!
La buona notizia, Bubba,
è che ti ho trovato un fegato nuovo…
L’unica cattiva notizia, è che appartiene a un negro”
Che te ne importa della trama dei suoi capelli
o del colore marrone della sua pelle?
Che te ne importa? Non te ne importa un fico secco
adesso che ti ritrovi in questo frangente?
Che te ne importa…
significa davvero tanto ora che sei tu
quello che ha bisogno d’aiuto?
Che te ne importa?
Lo trovi ancora così difficile amare il
tuo prossimo come ami te stesso, adesso?
Dimmi perché non puoi accettarmi per come
sono… proprio per quello che sono
Dimmi perché non puoi accettarmi per come
sono… proprio per quello che sono
Dove cresceva Bigga, i ragazzi dovevano
essere duri
Le ragazze erano trofei che ogni uomo
doveva collezionare
Quando si faceva male e le lacrime
gli bruciavano gli occhi
Sua madre diceva: “Smettila di fare chiasso, sei
una donna? I veri uomini non piangono”
Bigga imparò che per essere un uomo doveva
saper lottare
E seguiva delle regole ferree su
cosa è giusto e cosa è sbagliato
Non ebbe mai il lusso
di poter scegliere
Perciò secondo lui, non c’erano scuse
per chi era diverso
Bigga stava spingendo all’angolo,
per alzare qualche spiccio
Quando si imbatté in un omaccione
con cui si era già scontrato in passato
Bigga guardò la pistola sollevarsi
e il proiettile volare
Incredulo nel vedere tutti i suoi amici
che se la davano a gambe
Lasciandolo sul marciapiede, senza preoccuparsi se fosse vivo o morto
Fu salvato da un assistente sanitario che aveva un ciondolo
con su scritto “Gay Pride”
Il colpo alla testa,
sarebbe stato fatale
Loro ti hanno salvato la vita anche se tu dicevi
sempre che i froci devono morire
Che te ne importa della trama dei suoi capelli
o del colore marrone della sua pelle?
Che te ne importa? Non te ne importa un fico secco
adesso che ti ritrovi in questo frangente?
Che te ne importa…
significa davvero tanto ora che sei tu
quello che ha bisogno d’aiuto?
Che te ne importa?
Lo trovi ancora così difficile amare il
tuo prossimo come ami te stesso, adesso?
Dimmi perché non puoi accettarmi per come
sono… proprio per quello che sono
Dimmi perché non puoi accettarmi per come
sono… proprio per quello che sono
Questo è il motivo per cui la guerra non può cessare:
se non la pensi come me,
faccio esplodere il mio pezzo
Questo è il motivo per cui non possiamo fare progressi:
se non fai a modo mio, allora stai sbagliando
Questo è il motivo per cui i bambini iracheni piangono,
e altri palestinesi e israeliani muoiono
Questo è il motivo per cui il mondo sta soffrendo
diciamo che vogliamo che regni la pace
e poi ci sono ancora proiettili
Adesso dimmi perché non puoi accettarmi per come
sono… proprio per quello che sono
"continua" per leggere il testo in lingua originale
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Febbraio 1st, 2005 — Reggae contro il sessismo e l'omofobia
Stop Murder Music Coalition Suspended
This week a consortium of UK and US Record labels and concert promoters in association with Outrage! And the UK Black Gay Men's Advisory Group issued the following statement
Following months of constructive negotiations and discussions the Stop Murder Music coalition (SMM) has suspended their campaign with immediate effect after reaching a satisfactory understanding with the reggae music industry.
The parties have acknowledged each other's concerns and have agreed to create a framework for conflict resolution. This includes a series of on-going meetings to evaluate progress. This framework was entered into by OutRage! and the Black Gay Men's Advisory group with a consortium of U.K. and U.S. concert promoters and record labels. The promoters include Jammins, Apollo Entertainment.
The labels are VP Records, Greensleeves and Jetstar Records. Dennis Carney, head of Black Gay Men's Advisory Group, and spokesperson for the SMM coalition, acknowledged the efforts of all parties. «This is the first step in an important process» said Carney. Media strategist, Glen Yearwood, who mediated the resolution on behalf of the industry, is confident that all parties can now build on this framework that will help shape a new and positive future.
fonte
Gennaio 28th, 2005 — Reggae contro il sessismo e l'omofobia
Fido Guido, T'agghie ditte [Ti ho detto]
(Terra di conquista, Zuingo Comunication 2005)
Ti ho detto che quelli non sono i nemici,
a chi vuoi sparare? cosa vuoi dire?
dici un sacco di minchiate e poi ti compiaci…
Non vogliamo di questa merda tra gli amici!
Apri le orecchie quando ti parlo di cultura,
la religione a me fa paura, piglia un libro leggi la storia,
i crociati hanno ucciso milioni di persone…
Per non parlare di quante ne hanno condannate,
proprio come fanno oggi il vaticano la chiesa e il papa.
Per loro è meglio che tu prenda l'AIDS
piuttosto che usare il preservativo!
Allora sto ragazzo arriva e trova il pretesto:
le religioni sono un bluff perché ci portano a fare le guerre
tra poveri, ci spingono l'uno contro l'altro.
Non venirmi a parlare di caccia all'omosessuale,
che in Italia abbiamo già il vaticano,
se vieni qui parlami di storie buone
sennò sparisci che c'è già forza nuova con la sua merda.
Sono convinto come te che il sistema non funziona,
quando metto un disco tuo io dico «brucia babilonia!»
ma poi tu te ne vieni con l'antico testamento,
vuoi prendermi in giro? Non sono deficiente…
Guardati: bianco come una mozzarella
per fare il tipo dici «battyboy haffi dead»…
Attento idiota che se ti prendo
puoi stare tranquillo che te le apro io le orecchie
con la musica, con le parole e con il reggae stesso,
sto ragazzo difende gli oppressi,
ho un'altra cultura non sono un bobo, apri gli occhi!
Prendete una posizione, non fate l'imitazione
noi siamo sempre stati contro la discriminazione,
razziale e sessuale, per me non fa differenza…
In questo cuore sono veri i sentimenti.
Ho sentito storie assurde sul K.K.K., religiosi pazzi e fanatici
uccidevano gli africani dopo averli resi schiavi,
bruciavano bambini, donne, uomini e anziani,
ho sentito storie assurde pure sulla bibbia,
sul fuoco di sodoma e gomorra…
Ma non ho ancora visto tanto accanimento
per chi ha fatto morti in questa nazione.
E oggi al governo ti ritrovi i massoni,
la P2 è arrivata al suo obiettivo e tu no…
Tu pensi a gridare «fire pon Rome»
lasciando i ragazzi in una strana situazione!
fonte della traduzione dal dialetto tarantino
Gennaio 28th, 2004 — Reggae contro il sessismo e l'omofobia
CE'CILE sul sessismo e l'omofobia nella dancehall
«Right now I have a song called Do It To Me. It’s about oral sex. We call it 'bowing' and it’s a big taboo in Jamaica. There have been so many songs by men saying it is a bad, dirty thing to do for them to do to a woman, but they're still happy to say that we should do it to them, so I’m like… enough already! Sometimes as a woman you need to come out and be assertive and push and shock people, you need to be seen and heard. It’s true of other things, too. Like I think it’s ridiculous that people are so homophobic in dancehall. I have nothing against people being gay and never will. Men being homophobic are also, by implication, being misogynist to me and I will keep saying that, no matter what». Continue reading →